Poesia
[…] La parola di questa poesia spesso “s’inarca”; e nel loro sciogliersi, le parti, inanellate, nella brevità intessono come un lungo racconto. Così che il dettato (lo stile) della Fazio assume la forte riconoscibilità, il senso che noi vorremmo sempre trovare nella scrittura che dal tempo dei tempi è voce, è musica.
[…] E, dunque, nonostante la brevità e l’asciuttezza dei testi, si respira in questa raccolta l’ampiezza e la complessità di una tensione che non si stanca di accumulare domande […]. L’amore (unica risposta contro il male della Storia, dell’Uomo desolato e della Natura, quando è matrigna) è, in ultima analisi, il centro motore di questa raccolta, che si avvale di una lingua cristallina e intensa – che mescola insieme lirismo, filosofia e religiosità – in cui anche il realismo e la precisione del dettaglio stanno in relazione con l’afflato mistico, e la sensibilità poetica approda ad un messaggio etico […].
[…] Il ritmo è preciso, rime e consonanze sono rare, a tratti nascoste e lontane, tanto da sembrare il colpo che le dita sferrano alla biglia per farla ripartire. E in questa guerra c’è una lingua sensuale, una lingua di grazia. Una lingua che rende il conflitto ciò che è: ciò che nutre fibre e tendini della vita.
[…] Nell’uso della rima appare forte in questo libro la passione per il contrasto e gli accostamenti imprevedibili, sorprendenti, quelli che costringono il lettore all’affiancamento anche a distanza, attraverso il richiamo sonoro, tra parole e concetti in sé diversissimi. E quando questa sorpresa si situa in finale di componimento, ecco che diventa sanzione definitiva, chiusa forte, netta e memorabile. Anche dalla frequenza di questo uso conclusivo della rima dipende l’aura complessivamente sapienziale che avvolge in generale questa raccolta […].
Midbar di Raffaela Fazio presenta diverse chiavi di lettura, tanto da offrire al lettore la possibilità di ritornare sui testi, scoprendo ogni volta significati nuovi. Questo perché Midbar si muove sul crinale che separa la teologia dalla letteratura (Massimo Morasso, nella prefazione al volume, parla di un confronto, quasi di una sfida fra i due ambiti), ai quali deve aggiungersi quello più personale relativo al campo spirituale (intendendosi per spirituale il modo attraverso il quale la Scrittura parla nella vita dell’autrice e si trasforma in fatto poetico). In questo senso, Midbar si inserisce nell’incontro fra Parola di Dio ed esigenza di scrittura che aveva dato origine a L’ultimo quarto del giorno, pubblicato da Fazio per La Vita Felice edizioni, nel 2018. In quel libro, prendendo spunto dalla tradizione ebraica secondo la quale la giornata di Dio è divisa in quattro parti, l’ultima delle quali è dedicata al gioco con il mostro marino Leviatan, la poetessa rifletteva sul senso del tempo e del gioco, quest’ultimo inteso come capacità di disancorarsi dai legami e dalle certezze dell’esistenza quali categorie della vita umana, per affacciarsi all’orizzonte della ricerca più vera del sé. Adesso Raffaela Fazio cerca tali categorie nelle figure e nelle vicende bibliche, scelte come paradigma di opportunità e relazioni, senza necessariamente una prospettiva escatologica. […]
Le poesie, dunque, hanno una funzione di ideale prosecuzione del testo biblico; sono un prolungamento della Scrittura che in essa trova il fondamento. Vi si può rinvenire una funzione di commento, di didascalica, che ricorda i Midrash rabbinici, laddove sembrano voler mostrare una sapienza che è celata nella Scrittura, con la pazienza e la forza dei commenti talmudici. Proprio come i Midrash, intesi come metodo più che come genere letterario, i testi di Raffaela Fazio sembrano contenere in sé gli elementi della parafrasi (intesa come interpretazione del senso letterale attraverso una riscrittura), della profezia (intesa come interpretazione di qualcosa che sta accadendo o deve accadere, come interpretazione della Storia) e della allegoria (che qui potremmo intendere come parabola delle categorie del testo biblico che attraverso i suoi personaggi entrano nella vita dell’autrice come in quella di chi legge).
[…] Vi è da chiedersi quale logica sorregge lo sviluppo del macrotesto. Morasso coglie un aspetto strategico del libro che lo connota sia dal punto di vista teologico che poetico, che è quello della relazione. […] Relazione e rivelazione sono dunque le due facce della manifestazione di Dio nella storia attraverso la Scrittura. Questa relazione passa attraverso alcune categorie rinvenibili nella vicenda della fuga dall’Egitto, in particolare nel deserto, nel quale la pedagogia della Torah viene rivelata. La stessa Fazio scrive come il termine Midbar rimandi a tre significati della lingua ebraica: deserto, parola, evento. […] Deserto è dunque una categoria esistenziale, di consapevolezza di sé attraverso una perdita della misura della vita quotidiana e uno svuotamento. È la notte oscura di San Giovanni della Croce, dove ogni tentazioni si manifesta (come a Cristo nei quaranta giorni che precedono la sua predicazione) e viene vinta.
Fazio sembra cogliere questa categoria di un deserto nel quale cercare il vuoto della propria libertà. […] emerge la tensione dialogica del libro. Si tratta di un dialogo con Dio che è anche dialogo di Dio, in una dimensione tuttavia estranea a quella della preghiera, tale da escludere una dimensione propriamente mistica o religiosa della poesia della Fazio. È piuttosto un dialogo con il sé verso una ricerca della propria intimità, dando la parola ai soggetti della Scrittura, che parlano e si muovono nel teatro asciutto del deserto biblico. Il linguaggio e la versificazione risentono di questa asciuttezza, ogni parola trova il suo posto essenziale, si sposta e si staglia sulla pagina per risaltare e dare voce al silenzio, per mettersi in cammino ed entrare in una nuova consapevolezza. Il mettersi in cammino è l’alfa e l’omega di questo libro, ricordandoci ancora una volta una categoria della Scrittura che prende le mosse dalla vicenda di Abramo descritta in Genesi. È il cammino della grande ricerca umana, che Fazio mette in poesia con un’abilità fuori dal comune.
Poetarum Silva
[…] Raffaela Fazio, come ogni autore credibile e consapevole di sé e della sua scrittura, punta a un’indagine in profondità, senza compiacimenti: ne deriva, come osservato puntualmente da Gianfranco Lauretano […], un linguaggio essenziale, asciutto, senza mai suonare arido. Raffaela Fazio non rinuncia certo al sentimento […], ma il sentimento è sempre sorvegliato con una misura tutta classica che non è però armonia tout court, ma controllo sul fluire del verso, lasciando apparire quelle increspature sulla superficie che sono indizio di un conflitto irrisolto, di una tensione etica e conoscitiva che è alla base della scrittura. […]
[…] Raffaela scruta il punto indefinibile in cui la salvaguardia di sé cede, sospinta da una forza di maggiore e misteriosa intensità, cui l’autrice guarda con composta emozione e una sorta di ritrovata fiducia.
Su “Leggendaria” n. 150.
[…] Non di rado è dalla tensione, e sempre dalla tensione tra il noto e il nuovo, che scaturisce la conoscenza. La tensione è madre e nutrice e guardiana e vivandiera – di conoscenza. Nutrice e guardiana di conoscenza, con una presa in carico della responsabilità di tale ruolo, come dimostrano i testi dedicati ai figli – una costante, questa, nelle raccolte di Raffaela Fazio […].
I versi brevi suoi usuali trovano […] una necessità semplice, naturale, sono “versetti”, circondati di silenzio. In quanto poesia di pensiero non è di facile lettura, […] purtuttavia i versetti scorrono poeticamente, come acqua che fluisce secondo natura, e apporta salute […].
La presenza di Erato | Tre poesie di Raffaela Fazio da Midbar
[…] Conoscere se stesso, se è conoscenza per antonomasia, non è mai una volta per tutte, poiché parliamo di un processo pressoché inesauribile, lungo quanto la vita stessa che può metterci di fronte a prove durissime, in un continuo senso di sofferenza e di perdita, in una costante reiterazione tra inizio e fine, di cui non sempre riusciamo a trovarne ragione – forse perché ragione non c’è – e la poesia, quando è tale, nella sua dimensione di umana universalità, se ne fa carico dimostrandone la cruda trama, senza nulla concedere, proprio come avviene nella dolorosa raffinata poesia di Raffaela Fazio […].
La lingua, scarna e minimale, di Raffaela Fazio è il contrario di una lingua “barocca” che procede per accumuli e analogie. […] “Le tenebre plurali” e la “notte unica” sono l’essenza del pensiero poetico, sostanzialmente illuminista. La “notte unica” è la psicosi dell’uomo. Le “tenebre plurali” la libertà dell’uomo che germina da quella notte, il venire a patti con i soprassalti delle sue verità. Proprio nell’illuminare la sua notte Raffaela Fazio cerca la pluralità delle tenebre, la volontà molteplice di fare luce leggendo la propria noche obscura. “E poi leggere le cose / a voce alta, vedi / perché si alzino in piedi / in punta di piedi”.
[…] il compito della poesia non è tanto quello di raccontare, narrare, dar conto di eventi […] Ciò che il poeta deve tentare di fare […] è estrarre il senso delle cose, è estrarre il senso universale (perfino, a volte, archetipico). Solo così, il caos della realtà diventa non credo intelligibile, ma almeno parzialmente accettabile. In questo, Raffaela riesce perfettamente; ha le corde giuste, la giusta sensibilità umana. E per corde intendo le corde stilistiche, le corde espressive, la capacità di trovare la quadra perfetta fra ciò che dice e il modo in cui lo dice, senza alcuna retorica […]
[…] La sua poesia è materia sempre viva, capace di essere un continuo laboratorio di espressione e ricerca, di sguardo che, radicato nel presente, si confronta con il passato e si prepara per i giorni a venire. […] La battaglia è questo accadere, sia nelle geometrie d’amore o nel domandarsi del proprio stare al mondo, è questo mettere in evidenza ed indicare, il non rinunciare mai, l’esporsi e trovare al setaccio del vissuto le parole da tenere e da conservare, le parole a cui affidare il diventare poesia. […]
[…] Scevra dai toni profetici con cui veniva evocata in Rilke, l’immagine è calata nella quotidianità, in un anonimato virtuoso in cui a tenere insieme i due mondi sono i figli -destinatari di componimenti dotati di grazia speciale, custodi della continuità della vita, depositari d’amore. Una poesia intimista ma anche sapienziale, e non solo per la tendenza alla gnome e all’aforisma che si riscontra in chiusura di alcuni componimenti e che par essere cifra stilistica dell’autrice, ma soprattutto perché l’amore è strumento di conoscenza, chiave con cui schiudere l’essere. Ma anche così l’essere si schiude solo in parte, perché esso è sempre in relazione e nella relazione rimane un velo di mistero […]
[…] Nella relazione tra madre e figlio spesso si avverte il limite della separazione, indicato come ponte levatoio, soglia tra sonno e veglia […], dove si annida sia la paura del nulla che uno spazio insondabile di libertà […]. La tenerezza non diventa mai retorica […].
Casamatta Blog | Due madri, riflessioni su una raccolta di Raffaela Fazio
[…] La Fazio assume a motivo poetico la questione del senso, del telos d’un voyage, ovviamente esistenziale, che indaga la sua andatura per mezzo d’una corporeità, rectius, di un «corpo» […] di cui l’autrice denuncia limiti e contraddizioni […] L’autrice, con A grandezza naturale, ci consegna un’opera matura, caratterizzata da coesione tematica e uniformità stilistica, dalla versificazione asciutta, nettata da ridondanze verbo-nominali o aggettivali, frutto d’un accurato labor limae, d’un procedere cioè per sottrazione, che, tuttavia, mai priva la pronuncia della sua intentio comunicativa, di quell’audacia di dire […].
Su Avvenire, domenica 13 settembre 2020
“Raffaela Fazio, quell’oratorio è poesia di voci”
di VINCENZO GUARRACINO
Scorrere la bibliografia più recente di Raffaela Fazio, autrice di origine toscana (nata ad Arezzo, vive a Roma), si nota come una drammatica accelerazione, un crescendo creativo e operativo, che negli ultimi anni l’ha vista attivarsi su diversi fronti, tra studi iconografici, traduzioni e libri di poesia, come esito necessario di un bagaglio di interessi e studi molto ampio e variegato (tra lingue e diploma in Scienze Religiose e Master alla Gregoriana di Roma). Nel primo ambito, quello dell’iconografia, la sua indagine s’è indirizzata verso una lettura della “foresta di simboli” costituita dall’iconografia cristiana delle origini, al di là dello stratificarsi del tempo e delle sue forme: una lettura dunque del symbolon, del “volto” stesso della Fede (e Face of Faith, si intitolava l’opera del 2011), teso a dare visibilità a un messaggio essenziale oltre i suoi codici, per trovare dai dettagli conferme a intuizioni e inquietudini, nella convinzione, come si diceva una volta, che è proprio nei dettagli che si annida la verità. Un discorso quanto mai intrigante e necessario. Ho indugiato su questa opera fondativa, non a caso: perché è, mi pare, il leitmotiv che indirizza e accompagna il lavoro successivo, soprattutto poetico, della Fazio, come ricerca di un qualcosa che attivi e fondi, oltre l’antico, la “vita”, l’oggi di ogni possibilità e attesa attraverso un franco confronto e dialogo. È questo che si riscontra, per restare alle due raccolte più recenti, Midbar (Raffaelli, 2019) e Tropaion (Puntoacapo, pagine 98, euro 15): il bisogno, nel primo caso, di dare un “volto” al “deserto” (è il significato del titolo) attraverso una parola come esperienza di contatto tra Indicibile e umano, tra Eterno e storia. “L’Eterno / è silenzio sottile /che ti vuole e che non rivela /niente: solo/ ti concede un respiro/ e un’ansia più mansueta”, dice in un testo, secondo me centrale, in cui si mette in scena “la voce del silenzio sottile” che reclama una totale disponibilità, un “ecce ancilla” che dia inizio al miracolo; un’identica attesa, una disponibilità ai segni, alla “vita” (un testo della prima sezione è intitolato proprio “La vita parla”), anche nel secondo caso, che nel titolo Tropaion letteralmente allude a una battaglia e a una “conquista”, come esito di una riflessione sulle modalità di attivazione e coesistenza nell’esistenza umana delle forze contrastanti e divergenti, anche in senso eracliteo, per approdare a una suprema armonia. Un esempio di questa ansiosa domanda, eccolo nel testo “Oratorio materno”: un dialogo teso a tre voci – tra Madre, Figlio e Silenzio -, quest’ultima commentante e tutt’altro che distante e distaccata. Si interrogano e chiedono ragioni, le tre, con quel “Dove sei?” e “Perché?”, che si ripete insistentemente nelle parole della Madre come un drammatico contrappunto, di fronte all’impossibilità di una risposta. Il titolo, “Oratorio”, certo, ci indirizza verso la decifrazione della situazione, con quel che di sacrale il termine comporta (ma ogni dolore e confronto ha sempre un che di sacro, nel senso più etimologico di “separato”, diverso): spazio di un’incessante attesa di una “fonte” e di una “luce”, di invocazione di amorose corrispondenze nel segno di una “voce” essenziale: tutto nel segno, oltre che esistenziali necessità, anche di sublimi modelli anche letterari (penso a Jacopone da Todi).
Midbar di Raffaela Fazio inizia con questo verso: “Ogni parola è un passo”, e quindi con una rivelazione sull’essenza stessa della parola. […] È il nostro parlare a procreare il cammino, e noi parliamo per di più senza controllare né in fondo conoscere l’abisso da cui la nostra parola trae origine: “L’origine ci sfugge”. Noi infatti parliamo, e procreiamo il cammino della vita e della storia, trovandoci di colpo già dentro una lingua, che ci viene trasmessa, e che in un certo senso è già tutta data: “il bambino/ di colpo sa parlare”. […] La poesia davvero contemporanea è sempre più consapevole di questa natura misteriosa e gloriosa della parola umana, ci rivela che il nostro parlare è sempre una ricerca, un cammino appunto, ma nel senso di un itinerario di ricerca. Che cosa cerca la parola? […] Come possiamo imparare a parlare affinché il nostro dire diventi ricerca del nostro essere? […] È ancora la pratica poetica autentica che ci offre ottime indicazioni: “allena/ la vista/ oltre quello che vedi.// Ascolta da dentro”. Bisogna perciò parlare non per riprodurre ciò che ci offrono i sensi corporei, ma dando voce ad una luce che illumina le cose da un più profondo, da una dimensione che in un certo senso è “prima” del mondo, è la luce che lo proietta […]
[…] Raffaela Fazio snoda in versi brevi una vicenda di consapevole interrogazione, di lunga e intensa, ma non in affanno, rincorsa verso la luce, nella modalità di un cammino interiorizzato, dunque da ritracciare o rintracciare in una lettura centellinata. […] E la parola diventa vitalità e base di logos e di comunicazione; diviene tramite verso il limite di sé e l’espansione dell’altro, anzi sentiero di espansione verso l’altro (l’Altro), accorcio di distanza, riempimento e non separazione, scorcio sull’arrivo verso un punto di inizio.
[…] Niente toni sopra il rigo, ma nemmeno regressione sentimentale […]. Linguaggio certo non sperimentale, ma ricco […] di una sapienza anche autoironica, talora ritmico-gnomica, mai esibita. […] appunto l’equilibrio tra memoria e coscienza del quotidiano mantiene la situazione esistenziale al livello mai solipsistico, ma, al contrario, su un registro che definirei oblativo. Ritmo e metro sono affabilmente elastici, mai compressi né vistosamente istituzionalizzati. […]
La poesia di Raffaela Fazio è esercizio costante di meditazione e di amore per le lingue, antiche e moderne, il mito, le religioni arcaiche. Nelle sue diverse raccolte di volta in volta esplora, in un cammino di avvicinamento e conoscenza, il soggetto osservato a partire da sé e dall’empatia che in lei muove in contemporanea con la perdita, la sofferenza e la morte. In Meccanica dei solidi, chi ha sofferto una morte violenta e prematura viene perimetrato dalla sua capacità di vedere oltre, nelle intenzioni non più perseguibili, nel soggettivarsi di chi non può più parlare o testimoniare. In Un’ossatura per il volo, la riflessione è un atto d’amore verso i figli e un dono di sé verso i più giovani, perché possano fare esperienza di bellezza e di saggezza. [In] A grandezza naturale, è l’esperienza personale d’amore a parlare, a immergersi nella sensazione di precarietà e inesperienza che l’amore muove sempre nelle sue diverse apparizioni, come fusione, anelito, ma anche assenza e perdita. Fazio fa della poesia un linguaggio di elaborazione interiore che si avvicina alla riflessione filosofica e la relativizza, ma accompagna i momenti importanti della vita e aiuta a decifrare l’inchiostro scabro e inquieto delle mancanze e degli abbandoni.
Su “I Martedì” n. 4 (2022)
[…] Raffaela Fazio sa bene di giocare a un rilancio di vitalità e di conoscenza espressiva sul terreno di un’ambiziosa lingua perforata e duttilissima, piena di spezzature, latrice di immagini di pensiero e allegorie che […] riflettono un doppio riferimento, una doppia referenza che punta sempre ancora a “fare simbolo” […].
Poesia del Nostro Tempo | Midbar
[…] È una poesia preziosa, un empito raro, un rito ispirato […] Raffaela ha, a tratti, la stessa infibrata, risolta e gnomica illuminazione; la stessa medicamentosa sintesi d’infinito e bagliore (o montaliano barlume) transeunte, che le parole, quasi affidate “al volo” (o la memoria, tutte le memorie degli uomini) fermano ma non rivelano, incidono e giurano fra la luce e il buio […].
Su “Gradiva” n.° 57
[…] Con una profonda leggerezza di voce, la Fazio ci ricorda che l’uomo si trova da sempre in uno stato di tensione estrema, di lotta fra il bene e il male. […] La lingua di Raffaela Fazio ha radici profonde, e la sua è una poesia filosofica. Lo è certo per le domande senza risposta che si porta dietro […] Ma possiamo parlare di poesia filosofica anche per quello sforzo continuo di spingersi, con la «ragione del cuore», nel cavo intricato delle parole che ci dicono la forza e il bagliore della vita, nonostante tutto. […] In fondo la Fazio resta un’ottimista antropologica […].
[…] Ma la poesia di Raffaela Fazio non è solo lì, in questo interesse civile: è radicata in una forma di amore più ampia, che è quella dell’amore per la vita in tutte le sue manifestazioni e in tutti i suoi aspetti. […] E la chiave di lettura della sua opera poetica è proprio la fiducia nell’amore, come “guardia di frontiera” [da un verso presente nel libro “L’ultimo quarto del giorno”, pubblicato con La Vita Felice nel 2018], quale elemento che dà un senso al nostro stesso vivere e che, come lei stessa scrive […] consente anche la dimensione della gioia: “un fendente di gioia assoluta, insolente, non necessaria”.
[…] Raffaela Fazio ha un verso corto dal ritmo serrato ma dotato di grande musicalità […] È evidente la cura, la capacità di sintesi, l’abile costruzione di scene e situazioni che scorrono concrete e palpitanti sotto i nostri occhi e ci trasportano dentro di noi, in quelle parti magari nascoste, rimosse e neglette […]; oppure ci proiettano fuori di noi, in cerca di un altro/ve che ci appaghi, ci completi, ci trasformi, ci eterni […].
[…] Meccanica dei solidi, quasi silenziando il clamore che avrebbe potuto assumere una parola poetica meno consapevole e governata, indifferente ai barbagli dell’apparire ed alle ridondanze espressive e scegliendo la luce nitida del vero, del sacrum facere, fornisce anche la risposta: è vittoria. Dell’umanità, della vita e della parola stessa.
Una riflessione su Meccanica dei solidi
[…] il nuovo libro di Raffaela è tanto innocente quanto esigente. Innocente, perché Raffaela raccoglie cinquanta testi, quanti sono gli anni (secondo l’anagrafe) che va a compiere quest’anno, in buona parte già pubblicati in varie sillogi per i suoi cari figli, con la giunta di un manipolo di versi inediti a saldare un ponte con il presente; esigente perché il tema letterario dell’infanzia (qui inseguita fino alla prima adolescenza, a quella prima “ossatura per il volo” stigmatizzata nel titolo) non può che suscitare grande tenerezza e devozione […]. Raffaela Fazio ha composto un libro che ha registrato, di anno in anno, con accorato amore, l’immagine di due bambini nella quale possiamo scorgere […] l’emblematica fuggevolezza di un’età che ogni essere umano attraversa, mai troppo a lungo accarezzata da non lasciare un sottile rimpianto di non detto. […]
Poesie improntate a una grande consapevolezza, dunque, nel loro indagare la maternità come punto fermo della vita, esperienza cardine che, se da un lato consegna inevitabilmente ad un sentimento di insufficienza, dall’altro è fonte di saldezza e coraggio. […] Ma “La vicenda materna si caratterizza per il limite che la madre progressivamente oppone al suo totale possesso del figlio e che traduce il dominio in responsabilità”, come ha scritto Silvia Vegetti Finzi in un altro memorabile libro sulla maternità, Il bambino della notte […]. Luci e ombre della maternità attraversano la raccolta, tanto gli aspetti lieti e di leggerezza quanto quelli problematici; la vita è fatta anche di “Materia oscura”, che sia la paura per i cani in agguato dietro a un cancello durante una passeggiata in campagna […] o sia lo straniamento […]. Però, se è vero che l’irruzione di un figlio implica, per la madre, “una ricostruzione di sé, un confronto con la vita e con la morte […]” (Vegetti Finzi), la parola definitiva tocca alla poesia: “oltre la morte /solo l’amore /è guardia di frontiera.”
[…] Con mano leggera la poesia di Raffaela Fazio ci conduce dentro quegli attimi estremi in cui si consumano le speranze e le decisioni. Ed eccoci trascinati di fronte alla battaglia in corso, mirabilmente descritta: “Due forze in gioco: / la natura imparziale / e la scelta / dell’uomo che sposta /di tre quarti d’oncia”, cioè il peso dell’anima, “l’ago della bilancia.” Occasione sorprendente e coinvolgente per chi legge.
[…] Raffaela Fazio, pur non sottraendosi alla caducità, sembra in qualche modo suggerire l’unica risposta possibile, che è proprio quella di abbandonarsi ai “fendenti di gioia”, di giocare (per usare il termine di Raffaela) nella vita come nella poesia, così da diventare protagonisti veri delle tessere che comporranno il mosaico che diventeremo probabilmente senza essere in grado di cogliere il disegno complessivo, di avere fiducia affinché “solo questo ci basti / e ci prema: / abitare chi siamo”.
Abitare chi siamo e nel ritmo del fluire riconoscere che nell’inafferrabilità dell’istante non esistiamo né prima né dopo, ma adesso […] Questo sembra suggerirci Raffaela Fazio […]: la memoria e i ricordi esistono soltanto qui e adesso e le immagini del passato che ci accompagnano nel corso della nostra vita sono solo forme attuali della nostra coscienza. La Fazio non cerca più ragioni né esaspera il pensiero nell’affannosa ricerca di verità sulla vita e sulla morte. A lei basta sapere che ha radici buone e che ogni momento “va steso, non sottratto/ al suo destino:/ va dato al tempo/ quando il tempo/ è ancora fresco.” La sua poesia […] è originata da uno stato di magico stupore che nasce e si nutre di una saggezza che placa l’ansia di voler comprendere a tutti i costi. Dice Hui Neng, maestro Zen: “a ogni domanda che ti si pone, rispondi nei termini del suo opposto”. […] Ed ecco che la ricerca genera ironia, diventa gioco. Diventa accettazione di ciò che passa. Ed è proprio quest’accettazione a rivelare in Raffaela Fazio la condizione di una coscienza di sé risvegliata […].
Bonifacio Vincenzi
Da “I Poeti del Centro Italia – (Volume secondo). Dario Bellezza: poeta per vocazione. A cura di Bonifacio Vincenzi” (Macabor, 2019)
[…] Dicevo della forza metaforica: è la capacità di una descrizione che evita di cadere nella denotazione, è la capacità di domare i demoni che abbiamo dentro, di controllare le emozioni inventando altre forme di emozioni: questa è la forza dell’arte in sé. […] Non è solo un processo psicologico e catartico, ma è anche un processo cognitivo nuovo che si intraprende […] E’ l’esperienza della rinascita alla vita attraverso la vita che interessa a Fazio […] L’autobiografismo viene stemperato, controllato, sublimato in una scrittura ferma, sicura quanto metaforica capace di creare nuove cornici, di inserire emozioni, pensieri, riflessioni (perché qui la poesia è anche pensiero sull’esperienza e dell’esperienza) in una dimensione letteraria che attraversa il tempo e lo spazio come “esile liana” capace però di trasformarsi in “giavellotto” che non atterra, vola.
Traduzione
[…] Raffaela Fazio traspone le poesie di Rilke con una speciale sensibilità alla musicalità dell’originale. La poesia, in particolare quella di Rilke, è in realtà intraducibile, dal momento che è pressoché impossibile esprimere in un’altra lingua caratteristiche formali specifiche quali rima, metrica, assonanze e addirittura frequenti allitterazioni. Tentare di farlo ad ogni costo distruggerebbe la poesia, ma tentare di farlo con audacia e senza forzature, nei limiti del possibile, è il dovere del bravo traduttore. Questo è quanto mette in atto la presente raccolta, in modo insolitamente convincente. Raffaela Fazio riesce a rendere giustizia alla forma molto diversa che caratterizza i vari componimenti rilkiani, dai testi che presentano una struttura più rigorosa a quelli che fluiscono quasi come prosa poetica. […]
Nazione Indiana | Rainer Maria Rilke nella traduzione di Raffaela Fazio
[…] La sua operazione è pienamente condivisibile: si opta per una versione isometrica e profondamente musicale. L’attenzione al ritmo (Fazio è anche poeta in proprio) è il dato primario, accanto al rispetto di alcuni termini che vengono alla luce come veri e propri indizi, in un tracciato lirico che resta, nel complesso, fisico e mentale insieme. Questa duplicità dimensionale è còlta e direi particolarmente seguita durante tutto il lavoro di traduzione. E se la forma (come in tutti gli autori che sembrerebbero negarla) resta una questione imprescindibile, il lavoro di Raffaela Fazio è ancor più meritorio, avendo tenuto in conto proprio quel «tracciato armonico», come lei stessa riconosce, che è alla base del verso di Poe. Nel complesso è un’operazione felice, oltre che una scommessa davvero ardua. La resa italiana, infatti, si svincola dal traduttese di servizio per approdare a una compiutezza autonoma; insomma, abbiamo un Poe poeta nella nostra lingua. […]
[…] La traduttrice raccoglie coraggiosamente le sfide sonore e ritmiche dell’autore e ci restituisce, con più fedeltà rispetto alle versioni classiche, il battito, la “partitura” della lingua di Poe: rime, assonanze, la cantilena suadente del verso, un certo tono magniloquente eppure accessibile. L’architettura delle poesie viene più compiutamente alla luce, il tono e il registro emergono con più esattezza. E così l’espressività. […] È, quella di Raffaela Fazio, una sfida ardua per il diverso passo “intrinseco” dell’inglese e dell’italiano; pure è una sfida che produce risultati convincenti, tanto più meritevoli in quanto riguardano spesso poesie minori e poco conosciute. […] Su queste basi linguistiche il discorso poetico di Poe si proietta sul lettore nella sua giusta luce. I luoghi ameni e spettrali, le presenze eteree, l’amore e la morte, il fascino e il dramma che racchiudono, la paura di perdere l’oggetto dell’amore e la fatalità di perderlo, il terrore della morte e l’impulso irresistibile verso di essa. […]
Dalla postfazione a “Edgar Allan Poe. Nevermore. Poesie di un Altrove” (Marco Saya Edizioni, 2021)
Nazione Indiana | La poesia di Edgar Allan Poe nella traduzione di Raffaela Fazio
In libreria ci sono segni, oggi, di un ritorno di interesse per la grande poesia internazionale. Ma questi segni sono raramente tali da escludere il dubbio che chi ha tradotto un sommo fra i nostri maestri lo abbia fatto con la cognizione di causa e il rispetto che un simile azzardo dovrebbe comportare. […] Felicemente invece Raffaela Fazio, in questo Silenzio e tempesta, non percorre l’opera poetica di Rilke come si potrebbe percorrere un parco giochi, ma lo fa come ci si potrebbe accostare, piuttosto, a un serbatoio ideale, l’avvicinamento del quale rischia di ustionare – e, perciò, richiede cautela. La sua traduzione riesce così a essere una lettura amorosa dei testi d’amore del più amoroso fra i più significativi poeti lirici del ‘900 tedesco […]. Uno dei motivi del fascino, e del senso anche storico, di questa raccolta della poetessa di Midbar sta nella consapevole sobrietà del suo approccio ai testi. La selezione “critica” dal corpus dell’opera di Rilke è tendenzialmente ineccepibile […].
Dalla postfazione a “Rainer Maria Rilke. Silenzio e tempesta. Poesie d’amore” (Marco Saya Edizioni, 2019)
[…] L’italiano che Raffaela Fazio ha prestato alla poesia di Rainer Maria Rilke in Silenzio e tempesta ha una densità bellissima e scura, che rende meravigliosamente il senso di attesa, di imminenza anzi, di questi versi. […] E tutto questo con la sobrietà di un verso sempre composto, mai enfatico, amorosamente docile a una parola d’anima che non ha bisogno d’altro che di essere accostata, ascoltata. Magnifica, prodigiosa resa, che avvince il lettore, restituendolo al senso di una delle grandi esperienze della poesia novecentesca: «e noi sentiamo già, in lieve moto, / il polso quieto di ciò che sta sul fondo».
Estratti da “Silenzio e tempesta” con una nota di Giancarlo Pontiggia