L’area di Broca
n. 112-113
Donne Parità Alterità
I miei testi
Arianna
Arianna dorme. Il suo sonno è come l’isola di Nasso, uno spazio chiuso nella solitudine. Non sa ancora che Teseo, sporco del sangue del Minotauro, l’ha lasciata. Ma, rimettendosi in viaggio per Atene, egli ha dimenticato di sostituire le vele nere della nave con vele bianche – negligenza che provocherà il suicidio del padre Egeo. Al risveglio, Arianna incontra il suo vero destino. La ragazza abbandonata, si concede l’abbandono dell’ebbrezza. Sarà sposa di Dioniso, sua compagna prediletta. Per Teseo, dimenticare è sempre stato un voltare pagina, il passaggio da un’impresa all’altra in un tempo rapido e spesso fatale. Per Arianna l’oblio sarà invece il frutto di un eterno presente.
Il filo
che si allunga
non tiene ciò che sfugge
diventa tra le onde
bianca scia.
Né amato né nemico
all’altro capo.
Ancora dormi.
Al centro del meandro
compreso
vinto
credevi l’indomato
e amore
il passo districato
del ritorno.
Ma il vero labirinto
è al tuo risveglio
un dio
che dà dimenticanza:
nera fatale
nelle vele
quella del traditore
la tua invece
una danza
da cui non vorrai uscire.
Ti slegherai le trecce
il sangue nelle vene.
Un suono ti conduce
all’abbandono.
*
Procri
Gli dei sembrano voler insinuare il dubbio tra chi si ama da tempo. Procri conosce già la tentazione che fa vacillare la fedeltà, la vergogna, la separazione, il perdono dello sposo. Con Cefalo si è ormai ricongiunta, quando Artemide fa nascere in lei il sospetto che egli sia innamorato di Eos, dea dell’aurora. Temendo che il marito si rechi da Eos con la scusa della caccia, lo segue nel bosco. Nascosta dietro un cespuglio, lo sente esclamare “Aura vieni!” e scambia il nome del vento invocato da Cefalo come refrigerio con quello della presunta amante. Udito un fruscio e credendo che si tratti di un animale selvaggio, Cefalo lancia il giavellotto e colpisce Procri mortalmente.
Nulla rimane
– il talamo il perdono
il laccio gli anni le parole.
Ora
sei cieco ascolto
caccia
di un solo suono
nel bosco cupo folto.
Nascosta
immobile
impazzisci.
Sei attesa di una voce
che ti spezzi.
Muta follia la presagisci.
Nient’altro esiste.
Infine
la senti non resisti.
Gelosia – roco
lamento
scricchiolio dal fondo.
Il colpo
che ti fende il petto
non è del giavellotto.
È il nome
innocuo
che credi tradimento
l’eco il tormento
che in te ha soffocato
prima della vita
il sacro
fuoco.
*
Alcesti
Dono ambiguo è quello che gli dei fanno spesso ai mortali. Tale è il dono di Apollo per il re Admeto: gli permette di sottrarsi alla morte, una volta giunto il momento, a patto che qualcuno prenda il suo posto. Davanti alla richiesta del re, nessuno è disposto al sacrificio, neppure gli anziani genitori. Sua moglie Alcestiè l’unica che si offre di morire per lui.
Un istante
rivela la vita.
Da quella improvvisa
fessura
fiotta il giorno
a ritroso
nella notte
attinge il suo senso
e l’addensa.
Chi è il tuo sposo?
Il suo riso
negli anni, il portarti
alle labbra il boccale
e la reggia
ospitale…
Era tutto una fuga.
E l’amore un pretesto
per scordare
se stesso.
Anche adesso
non risponde all’appello
non accetta l’estremo
confine
che suggella il suo nome.
Tu capisci.
E di colpo ribelle
offri il dono
chinando la testa:
oltrepassi la soglia
al suo posto.
Che scompaia
il tuo volto, lo specchio
che deflette
perché il buio
rimandi all’amato
il suo vero sembiante.
Sorridi e ti aspetti
che nel lutto
l’uomo solo
rinasca, s’impasti
di vuoto e di forza.
Non più vino, né canti
o battaglie. Basta
il nudo lamento
accanto a due figli
la fatica
della propria paura
il sedersi sul trono
di gemme o di ortiche
che ha apprestato la vita.
Non esiste un’uscita
dall’ombra
che ci forma e ci spetta.