Un’ossatura per il volo
Raffaelli Editore, 2021
Album per i miei figli
Dalla prefazione di Giovanna Rosadini:
La grammatica dei sentimenti
[…] Raffaela Fazio, due volte madre e arrivata alla soglia dei cinquant’anni, ha deciso di raccogliere le poesie scritte per i figli in una silloge a memento della stagione dell’infanzia, prima che sfugga. […] Poesie improntate a una grande consapevolezza, dunque, nel loro indagare la maternità come punto fermo della vita, esperienza cardine che, se da un lato consegna inevitabilmente ad un sentimento di insufficienza, dall’altro è fonte di saldezza e coraggio. […] “La vicenda materna si caratterizza per il limite che la madre progressivamente oppone al suo totale possesso del figlio e che traduce il dominio in responsabilità”, come ha scritto Silvia Vegetti Finzi in un altro memorabile libro sulla maternità, Il bambino della notte […]. Tutta la complessità del ruolo materno è racchiusa in questo piccolo e prezioso florilegio, che testimonia il presente e farsi-in-atto della relazione e prefigura la modalità che assumerà in futuro: “(…) Ora non so /se ci sono oppure no /dietro l’oblò /della vostra astronave /o nell’ultima rete /dei pensieri delle nove. /Di sicuro /io ci sarò /ma voi sarete altrove /quando vi innamorerete.” Così come è chiara, fin dall’inizio, la separazione delle rispettive identità, fin dalla poesia di apertura che condensa, con poche, icastiche immagini, gli intenti della raccolta: “Non posso che esser questo /per intero: tunnel di vento /scavato e riscavato nel presente /franoso e puntellato, opera d’arte.” La maternità come forma più stretta di contiguità proiettata verso la separazione: “Sei vicina /come un paesaggio in corsa /verso la mia finestra (…) La solitudine /è questa intermittenza /che anche a te spetta. /E io non posso /che tenerti stretta /a distanza.” […]
Dalla nota di Salvatore Ritrovato:
[…] Il nuovo libro di Raffaela è tanto innocente quanto esigente. Innocente, perché Raffaela raccoglie cinquanta testi, quanti sono gli anni (secondo l’anagrafe) che va a compiere quest’anno, in buona parte già pubblicati in varie sillogi per i suoi cari figli, con la giunta di un manipolo di versi inediti a saldare un ponte con il presente; esigente perché il tema letterario dell’infanzia (qui inseguita fino alla prima adolescenza, a quella prima “ossatura per il volo” stigmatizzata nel titolo) non può che suscitare grande tenerezza e devozione […]. Raffaela Fazio ha composto un libro che ha registrato, di anno in anno, con accorato amore, l’immagine di due bambini nella quale possiamo scorgere, di là dal solido legame parentale (quel sentimento materno che si traduce in affettuoso cinguettio, non scevro di una levitas che emana da Pascoli ma attraversa tutto il Novecento), l’emblematica fuggevolezza di un’età che ogni essere umano attraversa, mai troppo a lungo accarezzata da non lasciare un sottile rimpianto di non detto.
Nota sulla struttura del libro:
Il libro si suddivide in 5 sezioni: 1) Non tutto l’amore si insegna; 2) La presa del reale; 3) Il buio dentro al colletto; 4) Tutto è nuovo; 5) Birdwatching. Le poesie delle prime quattro sezioni provengono dalle seguenti raccolte: “L’arte di cadere” (Biblioteca dei Leoni, 2015), “L’ultimo quarto del giorno” (La Vita Felice, 2018), “Tropaion” (puntoacapo Editrice, 2020), “A grandezza naturale. 2008-2018” (Arcipelago Itaca, 2020). Le poesie dell’ultima sezione sono pubblicate per la prima volta.
Poesie
Che strana forza il sonno
che ti rapisce al mondo.
Che strana forza il pianto
che ti rapisce al sonno.
Che strana forza la forza
che mi concedi
quando né al mondo né al sonno
cedi
ma sul mio petto.
D’un tratto mi riconosci
e di me ti avvolgi.
Mentre ti cullo cresci
oltre i recinti e le siepi bugiarde.
In spazi di istinti
dove non ho ricordi.
(per Juliette, 2008)
*
Di voi, di me
Forse un giorno scoprirete, miei bambini
che non mi conoscete
come si sa la storia di un paese
i fiumi, la bandiera o i suoi confini.
E infatti di me esiste
ciò che cambia
davanti al vostro passo forestiero.
Non posso che esser questo
per intero:
tunnel di vento
scavato e riscavato nel presente
franoso e puntellato, opera d’arte.
Ma spero scoprirete, miei bambini
la luce che ci unisce
e senza forma
dà forma
a ogni stormire di stagione:
non c’è altra conoscenza
che l’amore.
(2011)
*
Dopo la scuola
Chissà
se sarà
come per voi
che ˗ i piedi nelle pozze o nella neve ˗
potete avere freddo e non sentirlo.
Chissà
se quando mi entrerà dentro al colletto
il buio, l’infinito
saprò tenermi stretto
anch’io
il bello della vita.
(2011)
*
I disegni dei bambini
Si vede dalla loro grazia.
Non è semplice assenza di perizia
ma gaia reticenza.
È il senso naturale di giustizia
nel fare il mondo come lui vorrebbe
perché di nuovo viva
pieno di sbagli e vero
slegato dalle abili finzioni
di una prospettiva
che in quanto tale
si dice tesa all’infinito
ma resta poi solo parziale.
(2012)
*
Il guardaroba
A volte vi vesto
in proporzione allo spazio
del mio guardaroba d’intenti.
Capita che siate pazienti.
Più spesso vi slacciate i cappotti
sfilate i congiuntivi
correte nudi in prospettiva inversa.
Mentre io raccatto
quello che posso
voi siete vivi.
(2012)
*
Passeggiando in campagna
Non scordate
come vi batte il cuore
all’abbaiare dei cani
la paura
che il cancello sia aperto.
Un giorno avrete
un altro muro di cinta
sentirete
che contro vi si avventa
il dubbio.
Sarà d’amore o di morte.
E anche allora
ne conoscerete il fondo
appieno
solo alla svolta.
Anche allora
cercherete una mano.
(2014)
*
Eppure
Quante volte
portate l’acqua dal mare
a quest’ombra
in affitto
e il vostro viaggio non pesa.
È inverso il mio tragitto
ma altrettanto
leggero
quando dentro al mistero
trasporto
il pianto che mi spetta.
Eppure è lieve soltanto
se il fondo
non ha fori
se niente si perde
sulla sabbia che scotta
se tutto quanto
arriva a compimento
il dolore.
(2014)
*
Affresco
Se volessi fermare
nell’arriccio
questo attimo perfetto
di dolcezza
(sabbia pura di fiume)
tradirei il senso
ancora in divenire
la parte di te
forse migliore
il tuo vero pigmento.
E invece ogni momento
va steso, non sottratto
al suo destino:
va dato al tempo
quando il tempo
è ancora fresco.
Così
sul fondo che ti spetta
anch’io devo lasciare
che tu cresca.
(per David, 2015)
*
Ora di punta
Come in un’eterna
ora pendolare
in cui il corpo è sorretto
dal vicino
e superfluo
è perfino un appiglio
così anch’io rimango in piedi
grazie a voi
che vi moltiplicate
ogni giorno un pochino
e aderente
al vostro bisogno
mi tenete
non mi lasciate
spazio sufficiente
per uno scarto muto
che un po’ somigli
a un pensiero di morte
a una caduta.
(dicembre 2015)
*
Al mio risveglio
eri la carne con una fattezza
la mai esistita prima
l’indifesa l’esposta la tutta gettata
contro il mio esserci
che d’improvviso
si faceva presa
in altezza
del tuo esteso cadere
dentro al tempo stupito.
Da allora
in eterno
la mia notte
non è più una ma due:
alla più fragile e bella
non spetta il ritorno
perché è l’indizio l’inizio
del tuo giorno.
(per Juliette, 2015)
*
Il mio tempo
cammina sul crinale.
Ritenta l’equilibrio
tra gli opposti:
una valle nascosta lo precede
una piana gli succede
lo trascende.
Quando il mio tempo
pende
sul più azzurro versante
intravede
la sua stessa fine
il suo segno più in basso
come il rotolare
di un sasso
nell’erbetta nuova.
E nella vita
che senza me prosegue
forse un ricordo
di quel lieve
franare:
prova
in fondo
che oltre la morte
solo l’amore
è guardia di frontiera.
(2016)
*
Convergenza
Io so
che il tempo non è eterno.
Voi invece ne vivete
l’infinito
succedersi di inizi.
Per chi fra noi allora
l’istante
è più capiente
e ha il gusto più tenace
di primizia?
(2021)
*
Birdwatching
Ci appostiamo.
Voi tra i giunchi
io su un piano.
È dal fianco del monte
ch’io aspetto
il levarsi di un segno.
Voi studiate
lo stagno, chi scende
a beccare l’insetto.
E poi a sera
ci scambiamo gli appunti.
O restiamo in silenzio.
Forse un giorno
quei voli diversi
bucheranno la linea del tempo
fino a noi nuovamente.
E noi tre a guardarli
a guardarci distanti
ma uniti
su uno stesso orizzonte.
(2021)
Note/ recensioni/ estratti
Sul blog Avamposto
Lettura di Giovanna Menegùs (23/07/2021)
«Tutto è nuovo / reso nuovo esattamente / dall’esile porzione / di bagliore / che ha acconsentito / per poco a farsi buio / a immergersi nel Niente». Vorrei sottrarre queste poesie di Raffaela Fazio, scritte nell’arco di oltre un decennio e dedicate ai due figli bambini e poi adolescenti, Juliette e David, al rischio di una lettura eccessivamente ‘sentimentale’ e ‘pascoliana’, che potrebbe allontanarne i lettori non provvisti, per dire, di un vissuto personale di madre, e al di là del genere di genitore. Se è vero che nei circa sessanta testi della raccolta (cinquanta quanti gli anni dell’autrice, più una sezione di inediti) si toccano tutti i punti di una ‘grammatica dei sentimenti’ – come bene illustra Giovanna Rosadini nella prefazione al volume – e che tenerezza, gioia e giocosità, trepidazione vi trovano espressione distesa e (anche) privatamente memoriale, costituendo (anche) un album di ricordi e istantanee, un affabile colloquio, è altrettanto vero che l’orizzonte e la cifra del rapporto, della materia, non sono sentimentali e immanenti: stanno in quel sempre accettare il confronto con il buio, l’«immergersi nel Niente». A traslare il diario in poesia è un’apertura sull’oltre, un viaggio: «dentro al mistero / trasporto / il pianto che mi spetta», perché «tutto quanto» arrivi «a compimento / il dolore».
Il figlio, si sa anche senza ricordare Gibran, è vita che va oltre il genitore come una freccia lanciata da un arco: «Al mio risveglio / eri la carne con una fattezza / la mai esistita prima / l’indifesa l’esposta la tutta gettata / contro il mio esserci / che d’improvviso / si faceva presa / in altezza / del tuo esteso cadere / dentro al tempo stupito». Ogni madre che armata del proprio «guardaroba d’intenti» veste i suoi bambini lo fa solo per scoprire che«Più spesso vi slacciate i cappotti / sfilate i congiuntivi / correte nudi in prospettiva inversa».