Renée Vivien. L’ardente agonia delle rose. Antologia poetica
Antologia poetica a cura di Raffaela Fazio.
(Marco Saya Edizioni, 2023)
Dalla mia nota introduttiva
La poesia di Renée Vivien (Londra 1877 – Parigi 1909) ha una caratteristica imprescindibile: la musica perfettamente orchestrata di ogni componimento. La costruzione meticolosa del verso, che risulta nella più fluida naturalezza sonora, è tanto più sorprendente nella nostra autrice quanto la lingua usata è una lingua acquisita: la britannica Pauline Mary Tarn, che assunse il nome di Renée Vivien, scelse il francese per dar forma alla sua voce, una voce di indiscusso e riconosciuto talento. L’equilibrio degli emistichi, il respiro calibrato intorno alla lunghezza delle vocali, il gioco delle rime, il richiamo interno delle allitterazioni, l’iterazione delle parole, spesso nelle epifore, sono alcuni dei più evidenti accorgimenti stilistici a cui ricorre la poetessa. […] Proponendo Renée Vivien in questa nuova veste italiana, mi auguro che il lettore riesca a percepire il ricco cromatismo della sua poesia, che tematizza l’amore con un’apertura inusuale per l’epoca, senza temere il passaggio, a volte repentino, tra dolcezza e violenza, desiderio e repulsione. L’eros si rivela allora tendenza irrinunciabile, sebbene fonte di sofferenza, nell’alveo di una costante malinconia, nota di fondo del decadentismo europeo. Rêverie, simbolismo visionario, sensualità dai toni anche morbosi affiorano con insistenza in Renée Vivien; tuttavia, la sua scrittura non si esaurisce là, sorprende di continuo, perché nasce da uno spirito inquieto e dolente, intento a ricercare, almeno nella forma poetica, quella purezza che, nella vita, si era spesso rivelata fugace o illusoria. […]
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Dalla postfazione di Marie-José Tramuta:
[…] Renée Vivien nasce a Londra l’11 giugno 1877, con il nome di Pauline Mary Tarn, in un’agiata famiglia di commercianti. Il padre, scozzese, muore quando lei ha solo nove anni; la madre, statunitense, che non pare nutrire affetto nei suoi confronti, tenta di entrare in possesso dell’eredità della figlia prima della sua maggiore età, accusandola di follia. La Francia diventa ben presto il paese di adozione di Pauline, il paese che lei ama. Là vi soggiorna fin dall’infanzia. All’età di un anno, arriva a Parigi con i genitori. La famiglia Tarn si stabilisce al 23 di Avenue du Bois-de-Boulogne, dove, due piani sotto, vive anche la famiglia di un industriale americano di Cincinnati: sono gli Shillito. Pauline Tarn e Violette Shillito saranno amiche inseparabili; Renée descriverà in seguito questa relazione come una “comunione sororale”. […] Sono le sorelle Shillito, Mary e Violette, a presentarle Natalie Clifford Barney a Parigi. […] Natalie diventa per Renée l’oggetto di una passione divorante e di un tormento senza fine. Violette e Natalie rappresentano in un certo senso i due poli della poesia della Vivien, che molto presto scopre la sua vocazione per la scrittura.
[…] La presente antologia testimonia lo straordinario talento di Renée Vivien e la mirabile potenza della sua poesia che, aderendo alla tradizione parnassiana, evoca al contempo l’ombra di Swinburne, senza dimenticare la lezione di Baudelaire e di Rimbaud. Meritevole è il lavoro della poetessa e traduttrice Raffaela Fazio, che si è occupata della selezione dei testi e della resa in italiano: ne apprezziamo l’intento di fondo, così come le scelte metriche e ritmiche, che, tramite soluzioni spesso originali, restituiscono la forza creatrice e la bellezza di questi versi. […] “L’ardente agonia delle rose” offre dunque al lettore, con cura e attenzione, una poesia che stiamo riscoprendo sia in Italia che in Francia, analogamente a quanto è avvenuto con l’opera di Nella Nobili, che, italiana, scelse di scrivere in francese. Come Nella non sopportava l’etichetta di “poetessa operaia”, così Renée respingeva gli stereotipi, rifiutava di essere racchiusa nel quadro troppo stretto, semplicistico, della poesia omosessuale. Allora, se vogliamo chiamare Renée Vivien “Saffo 1900”, facciamolo pure, ma in virtù della portata universale della poetessa di Mitilene, non in base a un qualsivoglia settarismo.
Poesie
Bacchante triste
Le jour ne perce plus de flèches arrogantes
Les bois émerveillés de la beauté des nuits,
Et c’est l’heure troublée où dansent les Bacchantes
Parmi l’accablement des rythmes alanguis.
Leurs cheveux emmêlés pleurent le sang des vignes
Leurs pieds vifs sont légers comme l’aile des vents,
Et le rose des chairs, la souplesse des lignes,
Ont peuplé la forêt de sourires mouvants.
La plus jeune a des chants qui rappellent le râle :
Sa gorge d’amoureuse est lourde de sanglots.
Elle n’est point pareille aux autres, — elle est pâle ;
Son front a l’amertume et l’orage des flots.
Le vin où le soleil des vendanges persiste
Ne lui ramène plus le généreux oubli ;
Elle est ivre à demi, mais son ivresse est triste,
Et les feuillages noirs ceignent son front pâli.
Tout en elle est lassé des fausses allégresses,
Et le pressentiment des froids et durs matins
Vient corrompre la flamme et le miel des caresses.
Elle songe, parmi les roses des festins.
Celle-là se souvient des baisers qu’on oublie…
Elle n’apprendra pas le désir sans douleurs,
Celle qui voit toujours avec mélancolie
Au fond des soirs d’orgie agoniser les fleurs.
Études et préludes, 1901
Baccante triste
Il giorno più non trafigge, con dardi arroganti,
i boschi già sedotti dall’incanto delle notti.
È l’ora tutta in fervore, è danza di Baccanti
nel sensuale ardore di ritmi ininterrotti.
Piange la chioma arruffata il sangue delle viti.
I piedi spediti son lievi come ali dei venti.
Il bosco, tra linee sinuose e rosei carnati,
si accende di mille sorrisi incostanti.
Più giovane di tutte, lei ansima nel cantare:
la gola di amante è pesante per quei singulti.
In niente come le altre – la pelle, un biancore;
la fronte ha l’amaro dei flutti e il loro tumulto.
Il vino in cui il sole dei tralci ancora persiste
non le porta più oblio, fin là ricco dono.
Così è ebbra a metà, ma l’ebrezza ora è triste.
Sulla candida fronte, nere foglie in corona.
Tutto in lei si è stancato delle false allegrezze,
e il presagio dei freddi, dei duri mattini
corrompe la fiamma e il miele delle carezze.
Pensosa rimane tra le rose dei festini.
Lei rammenta quei baci caduti nell’oblio…
E mai la sua voglia sarà spoglia di dolore.
È lei che sempre scorge, con malinconia,
in fondo a sere d’orgia agonizzare i fiori.
Studi e preludi, 1901
*
Ressemblance inquiétante
J’ai vu dans ton front bas le charme du serpent.
Tes lèvres ont humé le sang d’une blessure,
Et quelque chose en moi s’écœure et se repent,
Lorsque ton froid baiser me darde sa morsure.
Un regard de vipère est dans tes yeux mi-clos,
Et ta tête furtive et plate se redresse
Plus menaçante après la langueur du repos.
J’ai senti le venin au fond de ta caresse.
Pendant les jours d’hiver énervés et frileux,
Tu rêves aux tiédeurs des profondes vallées,
Et l’on songe, en voyant ton long corps onduleux,
À des écailles d’or lentement déroulées.
Je te hais, mais ta souple et splendide beauté
Me prend et me fascine et m’attire sans cesse,
Et mon cœur, plein d’effroi devant ta cruauté,
Te méprise et t’adore, ô Reptile et Déesse !
Cendres et Poussières, 1902
Somiglianza inquietante
Sulla tua bassa fronte, l’incanto del serpente.
Sente il tuo labbro il sangue, odore di ferita.
Qualcosa in me ha ribrezzo ed ecco già si pente
al morso del tuo bacio che freddo mi ha colpita.
Di vipera lo sguardo nell’occhio semichiuso.
La testa cauta e piatta in fretta si raddrizza
più minacciosa ancora dopo il languido riposo.
Conosco il tuo veleno in fondo alla carezza.
Nei giorni dell’inverno inquieti e raggelati,
tu sogni, in valli interne, tepori in cui bearsi.
La vista del tuo corpo, sì lungo e ondulato,
rammenta scaglie d’oro in lento dispiegarsi.
Ti odio, eppure molle l’estrema tua bellezza
mi ammalia, mi cattura, mi attira ancora e ancora
e il cuore che è atterrito dalla tua spietatezza
ti disprezza, Rettile e Dea, e insieme ti adora!
Ceneri e polveri, 1902
*
Chanson pour mon Ombre
Droite et longue comme un cyprès,
Mon ombre suit, à pas de louve,
Mes pas que l’aube désapprouve.
Mon ombre marche à pas de louve,
Droite et longue comme un cyprès.
Elle me suit, comme un reproche,
Dans la lumière du matin.
Je vois en elle mon destin
Qui se resserre et se rapproche.
A travers champs, par les matins,
Mon ombre suit, comme un reproche.
Mon ombre suit, comme un remords,
La trace de mes pas sur l’herbe
Lorsque je vais, portant ma gerbe,
Vers l’allée où gîtent les morts.
Mon ombre suit mes pas sur l’herbe,
Implacable comme un remords.
La Vénus des aveugles, 1904
Canzone per la mia Ombra
Lunga e diritta come un cipresso,
va la mia ombra a passi da lupa
dietro i miei passi che l’alba rifiuta.
Mi segue l’ombra a passi da lupa,
lunga e diritta come un cipresso.
Come un’accusa lei mi pedina,
dentro la luce di ogni mattino.
Vedo racchiuso in lei il mio destino
che si restringe, che si avvicina.
Mentre attraversa campi e mattini,
come un’accusa lei mi pedina.
Come un rimorso l’ombra mi scorta,
cerca sull’erba il passo che è mio,
se, fiori in mano, sul viale m’avvio
dove per sempre albergano i morti.
Segue sull’erba il passo che è mio.
Come un rimorso impietoso mi scorta.
La Venere dei ciechi, 1904
*
Désir
Elle est lasse, après tant d’épuisantes luxures.
Le parfum émané de ses membres meurtris
Est plein du souvenir des lentes meurtrissures.
La débauche a creusé ses yeux bleus assombris.
Et la fièvre des nuits avidement rêvées
Rend plus pâles encore ses pâles cheveux blonds.
Ses attitudes ont des langueurs énervées.
Mais voici que l’Amante aux cruels ongles longs
Soudain la ressaisit, et l’étreint, et l’embrasse
D’une ardeur si sauvage et si douce à la fois,
Que le beau corps brisé s’offre, en demandant grâce,
Dans un râle d’amour, de désirs et d’effrois.
Et le sanglot qui monte avec monotonie,
S’exaspérant enfin de trop de volupté,
Hurle comme l’on hurle aux moments d’agonie,
Sans espoir d’attendrir l’immense surdité.
Puis, l’atroce silence, et l’horreur qu’il apporte,
Le brusque étouffement de la plaintive voix,
Et sur le cou, pareil à quelque tige morte,
Blêmit la marque verte et sinistre des doigts.
Cendres et Poussières, 1902
Desiderio
Lei, così stanca, dopo tanta lussuria estenuante.
Il profumo emanato dalle membra straziate
è colmo dei ricordi di contusioni lente.
Il vizio le ha scavato gli occhi azzurri offuscati.
E la febbre di notti sognate avidamente
ai biondi capelli altro pallore par che aggiunga.
Nervosi languori hanno i suoi movimenti.
Ma ecco l’Amante dalle crudeli unghie lunghe
d’un tratto la riafferra, la bacia e tiene stretta
con ardore così dolce e selvaggio al contempo,
che implorando pietà s’offre il bel corpo rotto
in un rantolo d’amore, desiderio e spavento.
E il singhiozzo che su sale con monotonia
esasperato infine dalla troppa voluttà
urla come si urla nei momenti di agonia
non sperando di addolcire l’immensa sordità.
Poi il silenzio atroce, e l’orrore ch’esso porta,
la voce lamentosa bruscamente soffocata.
E sul collo, somigliante a qualche stelo morto,
sbiadisce il segno verde e sinistro delle dita.
Ceneri e polveri, 1902
*
Hymne à la Lenteur
Parmi les thyms chauffés et leur bonne senteur
Et le bourdonnement d’abeilles inquiètes,
J’élève un autel d’or à la bonne Lenteur
Amie et protectrice auguste des poètes.
Elle enseigne l’oubli des heures et des jours
Et donne, avec le doux mépris de ce qui presse
Le sens oriental de ces belles amours
Dont le songe parfait naquit dans la paresse.
Daigne nous inspirer le distique touchant
Qui réveille en pleurant la mémoire dormante,
Ô Lenteur ! toi qui rends plus suave un beau chant
Mélancolique et noble et digne de l’amante !
Inspire les amours, toi qui sais apaiser,
Retenir plus longtemps et rendre plus vivace
Et plus suave encore un suave baiser,
Et révèles la gloire entière de la face.
Nous ployons devant toi nos dociles genoux,
La contemplation nous étant chère encore…
Puisque nous t’honorons, demeure parmi nous,
Toi que nous adorons, ô Lenteur que j’adore !
Sillages, 1908
Inno alla Lentezza
In mezzo ai caldi timi, tra il loro buon olezzo
e nel ronzio continuo di api sempre inquiete
innalzo un’ara d’oro alla gentil Lentezza,
insigne protettrice e amica dei poeti.
Insegna lei l’oblio dei giorni e delle ore,
e nel disdegno dolce che nutre per la fretta
dà un senso orientale a quei soavi amori
di cui genera l’ozio il sogno sì perfetto.
O possa tu ispirarci un distico toccante
che col lamento desta memorie sonnolente,
Lentezza, tu che rendi più tenero il bel canto,
nobile, nostalgico e degno dell’amante!
Ispira, su, gli amori, o tu che sai calmare,
serbare più a lungo e far così più acceso
un bacio assai dolce, reso più dolce ancora,
o tu che intera sveli la gloria del bel viso.
Le docili ginocchia davanti a te pieghiamo.
Nel contemplare, il cuore si riempie di piacere.
Dimora in mezzo a noi, perché noi ti onoriamo,
o tu che adoriamo, Lentezza che io adoro!
Scie, 1908
*
Épitaphe sur une pierre tombale
Voici la porte d’où je sors…
Ô mes roses et mes épines !
Qu’importe l’autrefois ? Je dors
En songeant aux choses divines…
Voici donc mon âme ravie,
Car elle s’apaise et s’endort
Ayant, pour l’amour de la Mort,
Pardonné ce crime : la Vie.
Haillons, 1910
Epitaffio su una pietra tombale
Esco, vedete: questa è la porta…
Ah le mie rose! Ah le mie spine!
Il tempo passato che importa?
Dormo pensando a cose divine…
L’anima mia, ecco, è rapita.
Al sonno, in pace, lei si converte,
perché ha, per amor della Morte,
perdonato il reato: la Vita.
Stracci, 1910