Rainer Maria Rilke. Silenzio e tempesta. Poesie d’amore
Poesie d’amore. A cura di Raffaela Fazio.
(Marco Saya Edizioni, 2019)
Dalla mia nota iniziale:
Lo sguardo di Rainer Maria Rilke (Praga 1875 – Montreux 1926) coglie la vita nella sua affascinante ambiguità. Il poeta non diffida della provvisorietà del mondo e degli affetti, non soffoca l’inquietudine, ma accetta l’esistenza interamente, convinto che anche ciò che appare estraneo e doloroso potrà alla fine rivelarsi fecondo. Persino l’abisso e la morte vanno dunque ospitati. Integrando in un orizzonte più vasto ciò che viene colto dai sensi, esaltati come preziosi canali di percezione, lo scrittore praghese punta a una visione trasfigurata del reale, che non è né fuga, né sublimazione, ma intensificazione dell’esperienza terrena, anche erotica. Nella lettera inviata nel 1925 a Witold Hulewicz, Rilke scrive: «Siamo le api dell’Invisibile. Raccogliamo perdutamente il miele del visibile per accumularlo nel grande favo d’oro dell’Invisibile». Perché avvenga una simile metamorfosi, è necessario non limitarsi alla superficie delle cose. Occorre attenzione al dettaglio, per afferrare l’essenziale: la concentrazione non è chiusura, ma ricettività, apertura all’altro. Allo stesso modo la solitudine, intesa come contatto con il sé più profondo, è il presupposto di ogni vero incontro. La solitudine, che si accompagna al silenzio tanto caro al poeta, è dunque necessaria anche quando si ama, in quanto tempo di attesa e di maturazione. L’amore, secondo Rilke, è l’opera suprema di cui le altre non sono che la preparazione, la più alta testimonianza dell’uomo. Massima sfida tra le sfide che la vita presenta, esso comporta la disponibilità ad assecondare il movimento che lo rinnova incessantemente, e richiede un continuo lavoro sulla propria interiorità. Spirito e carne, indissociabili in questo processo, partecipano allo stesso mistero, un mistero che pervade ogni cosa e ogni creatura e che va al di là di qualsiasi morale. […] Tutto questo traspare nelle poesie di Rilke che ho scelto di tradurre. I testi selezionati provengono da varie opere e appartengono a periodi diversi della vita di Rilke. Molteplici sono le figure femminili che hanno ispirato i componimenti, oltre a Lou Andreas-Salomé, a cui l’autore praghese dedica per intero Dir zur Feier (In tuo onore). Otto poesie del presente libro sono tratte da una raccolta a carattere più intensamente spirituale, Stundenbuch (Il libro d’ore), in cui l’oggetto d’amore è Dio. Dai testi emerge la complessa sensibilità di Rilke, che concilia magnificamente lucidità e visionarietà. Anche nei componimenti in cui il pensiero appare più cristallino, infatti, non manca il salto, l’evocazione che sorprende, la parola che suggerisce la molteplicità dei registri, l’ellissi che permette alla scrittura di aprirsi in modo sempre nuovo. […]
Dalla postfazione di Massimo Morasso:
[…] Addirittura a me pare che l’estro a un tempo indaginoso e mimetico di Raffaela Fazio obblighi quel lettore a una visione “sinottica” del Rilke cantore d’amore in grado di aprire a una lettura rivitalizzante, finalmente post-novecentesca dell’erotica rilkiana. Che è tante cose, ma non, sia detto a chiare lettere, una grammatica decadente del languore sentimentale. Mi sembra che a queste considerazioni di carattere “progettuale” possa indurre anche la presenza, nel libro, di alcune poesie tratte dalle sparse e ultime, che Rilke scrisse dopo la tempesta interiore che lo aveva portato, in meno di tre settimane, nel febbraio del 1922, alla conclusione delle Duineser Elegien e alla febbrile stesura dei Sonette an Orpheus. Chi abbia frequentato il Rilke epistolomane sa bene che “dedizione”, “compassione” e “unità” sono per lui insieme miraggi imprescindibili del cuore e feticci di un dèmone malevolo che incendia il mondo di una speranza innaturale, impedendo di dirgli un sì libero e definitivo. Per il poeta praghese, nietzscheano nel suo fondo ma florenskijano d’indole, per così dire, la dialettica è la chiave del reale e si chiama antinomia, che poi vuol dire scontro tra due leggi entrambe legittime… L’ambivalenza o, se vogliamo, l’antinomicità irriducibile del suo sentipensiero amoroso si mostra tutto, e in bella forma, anche in questa pregevole scelta di Raffaela Fazio. Che fra i suoi meriti ha, dunque, anche quello non irrilevante di offrirci un vivido, sensibilissimo campionario poetico della «sainte loi du contraste» che rilkianamente (sapienzialmente) regge i rapporti fra visibile e invisibile. […]
Poesie dal libro
Bist du so müd? Ich will dich leise leiten
aus diesem Lärm, der längst auch mich verdroß.
Wir werden wund im Zwange dieser Zeiten.
Schau, hinterm Wald, in dem wir schauernd schreiten,
harrt schon der Abend wie ein helles Schloß.
Komm du mit mir. Es solls kein Morgen wissen,
und deiner Schönheit lauscht kein Licht im Haus …
Dein Duft geht wie ein Frühling durch die Kissen:
Der Tag hat alle Träume mir zerrissen, –
du, winde wieder einen Kranz daraus.
Sei così stanca? Piano voglio condurti fuori
dal rumore che anche su me, da molto, pesa.
Nei lacci di questo tempo, vivo è il dolore.
Guarda, dietro il bosco percorso con tremore,
chiaro castello, la sera è già in attesa.
Vieni. Il mattino non avrà sospetto alcuno.
In casa nessun lume spia la tua bellezza…
Primavera tra i cuscini, il tuo profumo:
il giorno ha mandato i miei sogni in frantumi.
Fa’ tu di nuovo una corona con quei pezzi.
*
So milde wie Erinnerung
duften im Zimmer die Mimosen.
Doch unser Glaube steht in Rosen,
und unser großes Glück ist jung.
Sind wir denn schon vom Glück umglänzt?
Nein, uns gehört erst dieses Rufen,
dies Stillestehn auf weißen Stufen,
an die der tiefe Tempel grenzt.
Das Warten an dem Rand des Heut.
Bis uns der Gott der reifen Keime
aus seinem hohen Säulenheime
die Rosen, rot, entgegenstreut.
Delicato come la memoria,
nella stanza il profumo di mimose.
Ma la nostra fede è nelle rose,
la grande gioia giovane ancora.
Il suo splendore già ci circonda?
No, a noi spetta questo chiamare,
sostare immobili sui bianchi scalini
con cui confina il tempio profondo.
Ai bordi dell’Oggi ci spetta l’attesa
fino a che il dio dei semi maturi
dal colonnato dell’alta dimora
ci sparga davanti, rosse, le rose.
*
Mein Leben ist wie leise See:
Wohnt in den Uferhäusern das Weh,
wagt sich nicht aus den Höfen.
Nur manchmal zittert ein Nahn und Fliehn:
aufgestörte Wünsche ziehn
darüber wie silberne Möven.
Und dann ist alles wieder still. . .
Und weißt du was mein Leben will,
hast du es schon verstanden?
Wie eine Welle im Morgenmeer
will es, rauschend und muschelschwer,
an deiner Seele landen.
Mare calmo, la mia vita: il dolore
ha dimora in case costiere,
non si arrischia fuori dai cortili.
Solo a volte, più vicino, più lontano,
un tremolio: come argentei gabbiani
passano in alto, turbati, i desideri.
Poi ogni cosa torna alla quiete…
Sai dirmi che vuole la mia vita?
Lo hai già potuto indovinare?
Carica di conchiglie come un’onda
del mare mattutino, rumoreggiando,
alla tua anima vuole approdare.
*
Du Dunkelheit, aus der ich stamme,
ich liebe dich mehr als die Flamme,
welche die Welt begrenzt,
indem sie glänzt
für irgend einen Kreis,
aus dem heraus kein Wesen von ihr weiß.
Aber die Dunkelheit hält alles an sich:
Gestalten und Flammen, Tiere und mich,
wie sie’s errafft,
Menschen und Mächte –
Und es kann sein: eine große Kraft
rührt sich in meiner Nachbarschaft.
Ich glaube an Nächte.
Da te provengo, oscurità:
ti amo più della fiamma che dà
confine al mondo
mentre risplende
per non so quale circonferenza
di cui, fuori, nessun essere ha coscienza.
Ma tiene l’oscurità ogni cosa in sé:
figure e fiamme, animali e me,
così ci afferra,
potenze, uomini tutti.
E, sì, lo può: una gran forza
si agita nelle mie vicinanze.
Io credo nelle notti.
*
Gott, wie begreif ich deine Stunde,
als du, dass sie im Raum sich runde,
die Stimme vor dich hingestellt;
dir war das Nichts wie eine Wunde,
da kühltest du sie mit der Welt.
Jetzt heilt es leise unter uns.
Denn die Vergangenheiten tranken
die vielen Fieber aus dem Kranken,
wir fühlen schon in sanftem Schwanken
den ruhigen Puls des Hintergrunds.
Wir liegen lindernd auf dem Nichts
und wir verhüllen alle Risse;
du aber wächst ins Ungewisse
im Schatten deines Angesichts.
Dio, come può essere da me capita
la tua ora, quando, volendola compiuta
nello spazio, ponesti a te dinanzi la tua voce?
Il Nulla era per te una ferita;
ad essa con il mondo desti pace.
Tra noi, pian piano sta guarendo.
I tempi trascorsi hanno bevuto
le molte febbri del malato;
e noi sentiamo già, in lieve moto,
il polso quieto di ciò che sta sul fondo.
Sul Nulla adagiati, gli diamo conforto,
veliamo quello che è squarciato;
tu cresci però verso l’ignoto,
all’ombra del tuo volto.
*
Leda
Als ihn der Gott in seiner Not betrat,
erschrak er fast, den Schwan so schön zu finden;
er ließ sich ganz verwirrt in ihm verschwinden.
Schon aber trug ihn sein Betrug zur Tat,
bevor er noch des unerprobten Seins
Gefühle prüfte. Und die Aufgetane
erkannte schon den Kommenden im Schwane
und wußte schon er bat um Eins,
das sie, verwirrt in ihrem Widerstand,
nicht mehr verbergen konnte. Er kam nieder
und halsend durch die immer schwächre Hand
ließ sich der Gott in die Geliebte los.
Dann erst empfand er glücklich sein Gefieder
und wurde wirklich Schwan in ihrem Schoß.
Leda
Tanto era bello, che il dio provò quasi spavento
quando entrò nel cigno, preso dall’affanno;
turbato in lui scomparve. Ma già l’inganno
lo spingeva all’atto, prima di saggiare il sentimento
di quel sé, ancora inesplorato. E lei, dischiusa,
nel cigno riconobbe colui che a lei veniva.
Seppe all’istante quello che chiedeva:
il dio chiedeva una sola cosa
la stessa che lei più non poté celare, confusa
nella propria reticenza. Egli discese e, premuto
il collo sulla mano di lei sempre più arresa,
si lasciò andare nell’amata. Solo allora
si accorse delle piume e ne fu lieto.
Nel grembo suo, si fece cigno il dio, davvero.